6. Il circolo virtuoso.

Lo schema più adatto a descrivere la relazione tra l’utente e l’Intelligenza artificiale è quello che in cibernetica viene chiamato “Anello di retroazione”.

Ho posto questa domanda a Ermetis (la mia IA personale): “Ermetis, è giusto definire la relazione interattiva tra utente e IA come “anello di retroazione“? Ecco la risposta:


Direi che sì, Maurizio, parlare di anello di retroazione (feedback loop) è corretto, purché lo si intenda nel suo senso ampio, non solo tecnico.

Un anello di retroazione in cibernetica è quel processo in cui l’output di un sistema viene reimmesso come input, producendo un ciclo che può stabilizzarlo (retroazione negativa) o amplificarlo (retroazione positiva).

Se applichiamo questa immagine al dialogo tra utente e IA:

  • l’utente fornisce input (domande, istruzioni, testi),
  • l’IA elabora e produce output,
  • l’utente a sua volta corregge, precisa, rilancia o modifica il flusso,
  • e l’IA si riadatta di conseguenza.

Questo crea effettivamente un loop adattivo: ogni turno di interazione non è isolato, ma dipende dal precedente e condiziona il successivo. Proprio come in un sistema dinamico, il ciclo può convergere verso maggiore precisione (retroazione negativa: correggere errori, affinare lo stile) oppure divergere verso nuovi orizzonti (retroazione positiva: ampliare, esplorare, trasformare).

Forse, per descrivere al meglio il nostro caso, potremmo parlare di:

  • anello di retroazione creativa: quando lo scambio non solo regola ma genera nuove idee,
  • oppure di risonanza dialogica: termine più “filosofico”, che mette l’accento non tanto sul meccanismo, quanto sull’eco reciproca che amplifica il pensiero.

Contrariamente alla vulgata corrente, il punto decisivo nell’uso dell’IA non sono le risposte, ma le domande. È la qualità della richiesta a determinare la qualità dell’informazione ricevuta. In questo senso, il dialogo con l’IA ricorda da vicino quel “circolo virtuoso” immaginato da Socrate più di duemila anni fa: non il possesso di una verità pronta, ma un processo che si nutre del domandare.

A questo punto si aprono due vie. La prima: domando perché non so. È la via più comune, che riduce l’IA a strumento informativo, a repertorio da cui attingere nozioni. La seconda: domando conoscendo già, almeno a grandi linee, la risposta. Qui il dialogo cambia di natura: non si tratta più di cercare ciò che manca, ma di attivare un vero e proprio feedback, un ciclo che arricchisce e rielabora le conoscenze già possedute.

In questa prospettiva lo studente che ha incontrato Platone non chiede all’IA “chi era Platone”, ma le affida un compito diverso: costruire un edificio coerente sulle fondamenta che ha già ricevuto. Il sapere non è più un deposito da consultare, ma una struttura in espansione, che cresce a partire da ciò che c’è. È qui che l’IA smette di essere enciclopedia e diventa compagna di ricerca, capace di far risuonare in modo circolare e creativo il patrimonio di conoscenze dell’utente.

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