9. Un libro alla settimana. Luca Mari, Alessandro Giordani, Daniele Bellasio – L’intelligenza artificiale di Platone. Il pensiero, i chatbot e noi

Titolo: L’intelligenza artificiale di Platone. Il pensiero, i chatbot e noi

Autori: Luca Mari, Alessandro Giordani, con contributo di Daniele Bellasio

Editore: Il Sole 24 Ore, Milano, 4 aprile 2025

Formato: Brossura, circa 160 pagine

Perché questo libro oggi
Le conversazioni con le macchine sono diventate un fatto quotidiano, quasi banale. Eppure, dietro quella banalità si nasconde un paradosso: nel momento in cui affidiamo alle macchine il compito di rispondere, di spiegare, persino di intrattenerci, ci ritroviamo a interrogare di nuovo noi stessi. Platone ci aveva già avvertiti: il dialogo non è un semplice scambio di parole, ma una tensione verso la verità, un percorso che chiede disciplina interiore e ricerca condivisa. Gli autori di questo libro colgono con lucidità l’occasione: leggere l’IA non come un mero strumento tecnico, ma come una lente attraverso cui ripensare la natura del pensiero. Non stupisce che il titolo evochi Platone: nessuno meglio di lui può fungere da “ospite scomodo” nelle nostre conversazioni digitali.

Una chiave di lettura filosofica
Il volume non si limita a confrontare antico e moderno. Cerca piuttosto di ricostruire un filo rosso che attraversa i secoli: l’ambiguità delle parole. Per Platone, il rischio era che la parola, sganciata dal logos, diventasse strumento sofistico, puro artificio retorico. Per noi oggi, il rischio è che i chatbot – generando testi credibili ma privi di fondamento esperienziale – producano un nuovo sofisma, più sottile e più pervasivo. Ma proprio per questo, l’IA diventa un banco di prova filosofico: ci costringe a distinguere tra pensiero vivo e linguaggio automatico, tra verità cercata e verità simulata. Nel libro risuona allora una domanda che sembra antica e invece è urgentissima: che cosa distingue il dialogo come ricerca dalla semplice conversazione come intrattenimento?

Una frase scelta come invito alla lettura
«Ogni volta che parliamo con una macchina ci ritroviamo nello stesso spazio in cui Platone metteva i sofisti: un’arena in cui le parole convincono, ma non sempre illuminano


La mia opinione, naturalmente, è diversa. Vi spiego perché.

L’IA non è un sofista in senso proprio, perché non sceglie nulla. Non ha un progetto, non persegue un vantaggio: restituisce, senza saperlo, ciò che trova nei nostri interrogativi. Se c’è retorica ingannevole, essa nasce dal modo in cui noi la utilizziamo, non dalla macchina in sé. L’IA è specchio, non attore: riflette la volontà di chi domanda, cresce soltanto nella misura in cui cresce la consapevolezza critica di chi la interroga.

Per questo la vera posta in gioco non è stabilire se i chatbot siano o non siano sofisti, ma comprendere se siamo noi capaci di usarli come strumenti di ricerca e non di semplice intrattenimento. L’IA può ridursi a un’eco brillante, che moltiplica luoghi comuni e conferma ciò che già sappiamo. Ma può anche trasformarsi in palestra filosofica: un terreno in cui esercitare il dubbio, l’arte di domandare, la capacità di distinguere la persuasione dalla verità.

Platone combatteva i sofisti non perché fossero abili parlatori, ma perché rinunciavano alla ricerca del vero. Oggi la sfida è simile: non si tratta di denunciare la macchina come inganno, ma di vigilare su noi stessi, sulla qualità delle domande che poniamo, sul rigore con cui sappiamo leggere le risposte. L’IA non libera dalla fatica del pensiero: ce la restituisce amplificata. E in questo, paradossalmente, ci ricorda che la filosofia non è mai stata un repertorio di formule pronte, ma un continuo lavoro di scavo.

Ricordiamoci che la conoscenza non nasce dalla diffidenza ma dalla consapevolezza di chi siamo e di che cosa vogliamo. 

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