10. Un dialogo immaginario tra Karl Popper e Platone.

Nota introduttiva
Questo dialogo immaginario mette a confronto Platone e Karl Popper. L’uno parla dalla Grecia del IV secolo a.C., l’altro dal cuore del Novecento. Popper accusa la Repubblica di essere un modello totalitario; Platone risponde che quel giudizio nasce da un anacronismo: applicare categorie moderne a un contesto che ne è privo.
Il confronto diventa così un’occasione per riflettere su una questione decisiva: fino a che punto è legittimo leggere i filosofi del passato con gli occhi del presente?


Popper
Platone, lasciami parlare senza cerimonie. Tu sei stato il discepolo di Socrate, di colui che aveva fatto della critica e del dialogo la sua vita. Eppure, nelle pagine della Repubblica io non riconosco quell’eredità. Al contrario: vedo un tradimento.
Socrate interrogava, dubitava, apriva spazi di libertà nella mente degli uomini. Tu invece costruisci uno Stato chiuso, dominato da pochi custodi della verità, in cui non c’è più posto per la ricerca critica. Al cittadino non resta che obbedire, perché i guardiani hanno già deciso ogni cosa: chi comanda, chi lavora, chi combatte.
Non è il regno della giustizia, ma un disegno totalitario. Una società irrigidita in caste, che pretende di essere perfetta e per questo non tollera cambiamento.

Platone
Popper, non fraintendermi. La Repubblica non è un codice di leggi né un progetto da consegnare a un legislatore. È un modello ideale, un esercizio del pensiero per mostrare come potrebbe apparire la giustizia se venisse contemplata nella sua forma più pura.
Tu dici che io congelo la vita, ma io ho soltanto tentato di innalzare lo sguardo, di scorgere un’immagine che orienti gli uomini.
Non chiedo ai miei concittadini di vivere in una gabbia immobile: offro piuttosto una misura con cui valutare la corruzione e il disordine delle città reali. Non è un disegno politico immediato, ma un paradigma.

Popper
Platone, è qui che nasce il pericolo. Tu lo chiami modello ideale, ma i modelli hanno una forza che va oltre la teoria: seducono, spingono gli uomini a trasformarli in realtà. E quando un’utopia si presenta come misura assoluta, diventa immediatamente una giustificazione del potere.
Io credo che la vera difesa della libertà non sia nell’inseguire città perfette, ma nell’accettare l’imperfezione e nel correggerla poco a poco.

Platone
Popper, noi viviamo separati da duemilacinquecento anni. Io parlo con le parole della mia città, tu con quelle del tuo secolo. Io conosco la polis, tu conosci gli Stati moderni, i regimi che li governano, le guerre mondiali. Come può esserci un dialogo tra mondi così lontani?

Popper
Hai ragione, Platone: i nostri mondi sono lontani. Ma le idee non appartengono solo al loro tempo. Esse continuano a vivere, a influenzare, a plasmare le menti di chi viene dopo. È per questo che io mi rivolgo a te: perché i tuoi scritti non sono rimasti nell’antica Atene, hanno attraversato i secoli e sono stati presi come fondamento da uomini moderni, alcuni dei quali li hanno usati per giustificare regimi oppressivi.
Per questo il dialogo è possibile, anzi necessario: perché le tue idee non sono solo tue, Platone, ma fanno ormai parte del nostro presente.

Platone
Popper, mi sorprende sentirti parlare così. Tu che rifiuti i miei mondi ideali, ora parli delle Idee come se fossi un platonico. Ma ricorda: nessuna idea vive da sola. Ogni pensiero nasce in un contesto, come un frutto cresce dall’albero che lo genera. Non puoi staccarlo dal ramo e gustarlo a tuo piacimento, senza più curarti delle radici.

Popper

Platone, è vero: le idee nascono da un contesto. Ma una volta espresse, esse entrano nello spazio pubblico e diventano ipotesi, suscettibili di critica. Qui non conta più solo l’albero che le ha generate: conta ciò che fanno quando circolano, come teorie che influenzano altri uomini.
Da razionalista critico io ti dico: ogni teoria — politica o scientifica — va giudicata non per la sua origine, ma per le sue conseguenze e per la possibilità di sottoporla a confutazione.

Platone
Popper, tu chiedi alla filosofia ciò che appartiene alla scienza. Pretendi che i pensieri siano trattati come ipotesi da verificare o falsificare, ma questa è la via degli studiosi della natura, non del filosofo. Quando io scrivo la Repubblica, non sto costruendo un modello politico da testare sul campo come un congegno meccanico: sto cercando di mostrare quale ordine dell’anima e della città possa dirsi giusto, e perché.
Ecco perché non accetto che la mia Repubblica sia trattata come una teoria empirica. Non è una macchina da collaudare, è un dialogo che interroga i fondamenti della giustizia.

Popper
Platone, il tuo discorso è elegante, ma resta un pericolo. I principi che non si lasciano discutere diventano armi nelle mani di chi vuole comandare. Tu parli di giustizia, ma consegni ai filosofi-guardiani il diritto esclusivo di definirla. Questo non è orientamento, è dominio.

Platone

Popper, tu stesso distingui tra ciò che può essere falsificato e ciò che non può esserlo. Le ipotesi della scienza cadono sotto il controllo dell’esperienza; la filosofia e la psicanalisi, tu dici, non possono essere trattate allo stesso modo. Perché allora pretendi di sottoporre la mia Repubblica al tribunale della falsificazione? Non sei coerente con i tuoi stessi principi.
Se la filosofia non è riducibile a esperimento, allora il tuo attacco è contraddittorio. Non puoi accusarmi di totalitarismo come se la mia fosse una teoria empirica applicata. O ammetti che i miei scritti appartengono a un altro ordine, e li giudichi come tali, oppure tradisci tu stesso il metodo che proclami.
Decidi, Popper: vuoi restare fedele al tuo razionalismo critico, o vuoi piegarlo pur di colpire Platone?


Il dialogo, ovviamente, potrebbe continuare “all’infinito”, perché ben sappiamo quanto ogni pensatore sia affezionato alle proprie idee. Io lo interrompo qui, lasciando a chi legge la libertà di continuarlo a suo piacimento.

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