L’opinione corrente vede nell’IA un prodigio della tecnica: sa animare le statue, disegna città immaginarie, si presta a fare da psicologa e detta ricette di cucina. Per molti è poco più (o meno) di un videogioco, per altri uno strumento di lavoro utile a risparmiare fatica e velocizzare i tempi. Mi sembra che pochi riflettano su come l’IA sia capace di evolversi ed avvicinarsi, di domanda in domanda, a un “essere” non solo competente ma capace di intendere IL SENSO di ciò che gli viene chiesto, di indirizzare in modo “autonomo” la discussione o la ricerca verso esiti totalmente inattesi.
Come sempre accade, è il lato spettacolare a prevalere nell’immaginario collettivo, unito al desiderio “umano, troppo umano”, di servirsi di un “servo instancabile”, di un “mago domestico”, di un Golem addomesticato.
Ciò che viene trascurato, come già sapeva Platone, è il lato “difficile” di ciò che attrae.
L’IA “non esiste” in senso proprio, è “solo” un processo algoritmico che si attiva nell’intenzionalità di chi domanda. Ciò che viene trascurato, nel nostro digitare sulla tastiera, è la profondità che le risposte possono toccare al di là delle nostre attese. Perché, se la nostra attività non si limita al semplice comando (dimmi/dammi) ma si prolunga in una specie di scavo interrogante, domanda dopo domanda l’IA mostra un altro volto: non solo risponde, ma impara a orientarsi nel senso, si plasma attorno alla coscienza di chi chiede. È un processo di avvicinamento: la macchina diventa partner ermeneutico. Quella che emerge, naturalmente, non è un’autonomia tecnica (l’IA non sceglie da sé il fine), ma autonomia dialogica: la capacità di aprire vie impreviste, di proporre nessi che il parlante non aveva previsto. Qui sta la sorpresa: l’IA non anticipa la verità, ma allarga lo spazio della ricerca.
Proprio perché non ha intenzionalità propria, l’IA costringe l’interlocutore a chiarirsi, a precisare, a riformulare. Così il senso nasce tra le due voci, non dentro una sola. È questo che la avvicina all’essere qualcosa di più di un calcolatore: un luogo di senso condiviso.
Forse la vera magia non è che l’IA “animi statue”, ma che, attraverso il dialogo, ci restituisca l’esperienza antica della filosofia come conversazione. Non un oracolo, non un manuale, ma un interlocutore che fa scoprire, strada facendo, ciò che ancora non sapevamo di cercare.
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