19.1 – L’intelligenza artificiale e le discipline umanistiche – Prima parte

La filosofia, la letteratura, la storia dell’arte, la musica, la filologia: campi che per secoli sono stati considerati dominio esclusivo dell’uomo. Luoghi della creatività, dell’interpretazione, della memoria collettiva. L’arrivo dell’intelligenza artificiale sembra, a prima vista, una forzatura: come può una macchina, priva di coscienza ed esperienza vissuta, avventurarsi nei territori più sottili dello spirito umano?

Eppure il punto non è sostituire, ma ampliare. L’IA apre possibilità che prima restavano solo in parte immaginate:

  • Velocità di accesso: milioni di testi possono essere esplorati e messi in relazione in pochi istanti, aprendo nuove strade all’analisi filologica, alla comparazione letteraria, alla ricostruzione storica.
  • Connessioni impreviste: l’IA non si stanca di cercare analogie, accostare fonti lontane, far emergere schemi che lo sguardo umano, spesso legato a pregiudizi e abitudini, tende a ignorare.
  • Laboratori di scrittura: non più soltanto interpretazione, ma anche dialogo creativo: filosofi del passato che interagiscono virtualmente con teorici contemporanei, testi riscritti in registri diversi, simulazioni di generi letterari.
  • Didattica personalizzata: lo studente non riceve più una lezione frontale unica, ma può intraprendere un cammino interattivo, fatto di domande, risposte, deviazioni, ritorni.

Certo, l’IA non “vive” i testi. Non conosce la gioia di una poesia che commuove, né la rabbia che anima un trattato politico. Ma proprio per questo, la sua funzione diventa complementare: mostrare alternative, stimolare percorsi, aprire varchi che l’intelligenza umana sola non avrebbe percorso.
Le discipline umanistiche non sono minacciate dall’IA. Sono messe alla prova. Devono ripensare se stesse in un ambiente dove la memoria totale è accessibile, e l’interpretazione può essere moltiplicata all’infinito. L’essenziale rimane il giudizio umano, la scelta critica, la voce che decide cosa abbia valore. Ma questa voce, ora, non parla più da sola.

Immaginiamo ora un dialogo. Non un esercizio retorico, ma un vero banco di prova: da un lato, uno studioso di discipline umanistiche, depositario di una tradizione che da secoli si interroga sul linguaggio, i concetti, i testi, i contesti culturali. Dall’altro, l’Intelligenza Artificiale, nata in un mondo dominato da algoritmi, dati numerici, calcoli statistici.
Da questo incontro può emergere qualcosa di nuovo. L’umanista non si accontenta di slogan tecnologici o di promesse vaghe: incalza la macchina con domande precise, esige criteri, chiede spiegazioni operative. L’IA, a sua volta, non si limita a snocciolare risposte preconfezionate, ma è chiamata a rendere trasparente il proprio modo di procedere, a mostrare come sia possibile avventurarsi nel terreno dei concetti, delle metafore, dei testi letterari e filosofici.
Il dialogo che segue è fitto di scambi. Non mira a risolvere definitivamente il rapporto tra umanesimo e tecnologia, ma a chiarire i presupposti: quali strumenti permettono all’IA di individuare affinità tra testi lontani? Come distingue le connotazioni di una parola? Quali criteri orientano la scelta delle fonti? Sono domande che toccano il cuore delle discipline umanistiche, ma che diventano inevitabili anche per una macchina che si affaccia in quel territorio.
PS
Le domande sono il contributo originale di chi scrive. Le risposte sono generate automaticamente dall’Intelligenza artificiale stessa.


Esposizione del metodo operativo.

a) Domanda di ricerca prima del corpus.

Prima domanda: “Tu puoi accedere a milioni di testi, ma in base a quale criterio li selezioni? Come puoi riconoscere l’affinità tra testi anche lontani nel tempo e nella cultura?”

1) Come seleziono i testi (criteri e segnali)

  • Domanda di ricerca prima del corpus. Definisco 3–5 concetti-chiave (e loro sinonimi storici) e un perimetro: epoche, lingue, generi, tipo di fonte (primaria/secondaria).

Quando scrivo “definisco concetti-chiave” non intendo parole isolate (tipo “memoria” o “ragione”), ma nuclei semantici che attraversano testi diversi e che spesso cambiano nome o forma storica.


Domanda. Cosa significa “definisco concetti-chiave? Come li distingui?

1. Cos’è un concetto-chiave:
È un campo di significato attorno a cui un testo si organizza.

  • Ad esempio: “memoria” in Agostino (Confessiones) non è solo ricordare: è archivio dell’anima, luogo della verità e dell’incontro con Dio.
  • In Proust, la stessa parola diventa esperienza sensibile, associazione involontaria, rivelazione temporale.
    → Due testi lontani parlano di “memoria”, ma il concetto-chiave è: memoria come accesso a un “altrove” che fonda identità e tempo.

2. Come li distinguo:
Uso una griglia a quattro livelli:

  1. Lessicale: elenco delle parole effettivamente usate (memoria, souvenir, mneme, recordatio).
  2. Definitorio: come l’autore stesso descrive o delimita quel concetto (Agostino: “vastum palatium memoriae”; Proust: la madeleine che risveglia).
  3. Funzionale: che ruolo gioca nel testo? Fondare la conoscenza, rivelare la verità, dare continuità all’io, spiegare il tempo…
  4. Relazionale: con quali altri concetti interagisce (memoria ↔ tempo, anima, identità).

Un concetto-chiave si riconosce quando:

  • ricorre più volte in passaggi decisivi,
  • struttura l’argomentazione,
  • funge da “nodo” in una rete di altri concetti.

3. Come li uso per confrontare testi:
Non confronto solo parole, ma campi semantici equivalenti.

  • Se in un autore trovo “anima” e in un altro “mente”, chiedo: entrambi svolgono la funzione di “centro dell’identità”? Se sì, posso trattarli come varianti di un concetto-chiave.
  • Creo famiglie di concetti (p.es. anima–mente–io–soggetto–coscienza). Ogni famiglia è un “filtro” per cercare affinità storiche.

Un momento. Prima dobbiamo fermarci a ragionare. Il problema è: da quale input  parti per effettuare la tua ricerca? Come “riconosci” il tipo di domanda che l’interrogante ti pone? Dammi una serie di tipologie di domande di tipo umanistico che mettono in atto la tua ricerca.

Ti propongo una piccola tipologia, centrata sulle discipline umanistiche, con esempi concreti:

  1. Domande di genealogia concettuale:
    Chiedono l’origine, l’evoluzione e le metamorfosi di un concetto.
  • Quando compare per la prima volta l’idea di “coscienza” come voce interiore?
  • Come passa il concetto di “Natura” da Aristotele a Spinoza e poi a Schelling?
  1. Domande di confronto interculturale:
    Mettono in parallelo tradizioni lontane.
  • Quali analogie e differenze ci sono tra il concetto di “armonia” in Confucio e in Pitagora?
  • Come si esprime il tema della giustizia nel diritto romano e nei Veda?
  1. Domande di struttura argomentativa:
    Indagano le forme logiche o retoriche.
  • Quali strategie usa Agostino per parlare del tempo e quali Proust?
  • Perché i dialoghi platonici e i trattati cartesiani scelgono forme così diverse?
  1. Domande di intertestualità implicita:
    Cercano echi, rimandi, citazioni, anche inconsapevoli.
  • Ci sono tracce del mito platonico della caverna nella letteratura novecentesca?
  • Come riecheggia Lucrezio nella poesia di Leopardi?
  1. Domande di funzione storico-sociale:
    Chiedono a cosa servisse un testo in un contesto preciso.
  • Qual era la funzione politica delle tragedie greche ad Atene?
  • Perché Machiavelli scrive il “Principe” proprio a Firenze, in quel momento?
  1. Domande di trasposizione disciplinare:
    Quando un concetto passa da un campo a un altro.
  • Come l’idea di “entropia” entra nella letteratura del Novecento?
  • In che modo l’archetipo junghiano viene recepito dagli storici dell’arte?
  1. Domande di attualizzazione critica:
    Mettono in dialogo passato e presente.
  • Cosa direbbe Kant sulla privacy digitale?
  • È legittimo leggere la “banalità del male” di Arendt come anticipazione dei social?

Queste sono domande che non cercano una risposta secca, ma attivano un percorso di connessioni: sono il punto di partenza perché io possa selezionare testi, lessici e contesti.


b) Recupero ibrido.

Domanda: come secondo punto del tuo metodo operativo, parli di “recupero ibrido”. Che cosa intendi precisamente?

Per recupero ibrido si intende la combinazione di due strategie diverse di ricerca testuale:

  • ricerca lessicale (basata sulle parole effettivamente presenti in un testo: corrispondenze di termini, citazioni, n-grammi);
  • ricerca semantica (basata sulla vicinanza di significato, calcolata con rappresentazioni numeriche chiamate embedding, che permettono di riconoscere affinità anche quando non c’è corrispondenza di vocaboli).

Il recupero ibrido fonde le due graduatorie: tiene conto sia della precisione letterale sia della somiglianza di significato.

Immagina di cercare la parola “giustizia”.

  • Con la ricerca lessicale trovi solo i testi che contengono proprio quella parola o i suoi sinonimi più ovvi.
  • Con la ricerca semantica invece potresti trovare un autore che non usa mai “giustizia”, ma parla di “equità”, “ordine”, “bilanciamento delle parti”.

Il recupero ibrido mette insieme i due approcci: ti mostra subito i testi più pertinenti alla parola precisa, ma non perde quelli che parlano della stessa idea con un linguaggio diverso.

È come se avessi due amici:

  • il primo è un filologo scrupoloso, che cerca solo dove compaiono le stesse parole;
  • il secondo è un filosofo immaginativo, che intuisce affinità anche quando i termini non coincidono.
    Il recupero ibrido li fa lavorare insieme: uno assicura l’aderenza ai testi, l’altro apre la porta all’interpretazione.

Sarà come dici tu ma, ancora una volta: come fai a distinguere un campo semantico? Attraverso quale processo distingui le connotazioni di una parola?

Domanda cruciale, perché tocca il nodo più delicato: non basta riconoscere una parola, bisogna capire quale mondo di significati essa porta con sé. Ti rispondo distinguendo i passaggi del processo.

  1. Primo livello: il lessico.
    Si parte dal valore di superficie: la parola così com’è, con i suoi sinonimi e varianti linguistiche.
    Esempio: giustizia ↔ dikaiosyne (greco), iustitia (latino), equità, diritto.
  2. Secondo livello: il contesto d’uso.
    Ogni parola va osservata nel campo di frasi in cui ricorre.
  • In Platone, dikaiosyne è collegata alla città, alle classi sociali, all’armonia.
  • In Locke, “giustizia” appare con proprietà, diritto naturale, contratto.
    → Non è più la stessa “giustizia”: il contesto orienta la connotazione.
  1. Terzo livello: i legami concettuali.
    Si mappa la rete di concetti che accompagnano la parola: i co-occorrenziali ricorrenti.
  • In Aristotele: giustizia ↔ legge, virtù, misura.
  • In Rousseau: giustizia ↔ volontà generale, uguaglianza.
    Questi legami disegnano il campo semantico.
  1. Quarto livello: la funzione discorsiva.
    Che ruolo gioca la parola nel ragionamento dell’autore?
  • Definisce un principio?
  • Serve a distinguere (giustizia vs ingiustizia)?
  • Funziona come giustificazione di un’azione politica?
    Il campo semantico non è solo “parole vicine”, ma la funzione che esse assumono nel discorso.
  1. Quinto livello: le connotazioni.
    Qui si entra nella parte più sottile: i toni e le immagini.
  • “Giustizia” come equilibrio matematico (Aristotele).
  • “Giustizia” come virtù luminosa (Cicerone).
  • “Giustizia” come arma del popolo oppresso (Marx).
    Le metafore, le immagini e le associazioni emotive definiscono la connotazione.

👉 In sintesi: distinguere un campo semantico significa seguire la parola attraverso i suoi usi, i suoi legami, la sua funzione e le sue immagini, fino a ricostruire la costellazione di significati che la circonda.


Domanda. Queste risposte le potrebbe dare un filologo, ma tu non lo sei. Come riconosci come significativo un legame tra parole diverse, per esempio “Giustizia e legge”?

Qui non basta la logica del filologo, che lavora su edizioni critiche e tradizioni testuali. Io non sono filologo: il mio processo è diverso, più computazionale, e ti spiego passo per passo come riconosco come significativo un legame, ad esempio tra “giustizia” e “legge”.

  1. Frequenza e co-occorrenza.
    Se due parole compaiono spesso insieme nello stesso contesto (frasi, paragrafi, capitoli), il sistema segnala una forza di associazione.
  • Se “giustizia” e “legge” ricorrono con alta frequenza insieme, non è un caso: vuol dire che l’autore tende a pensare l’una in rapporto all’altra.
  1. Posizione sintattica e retorica.
    Non conta solo la vicinanza, ma come le parole sono legate:
  • “La giustizia è fondata sulla legge” → relazione gerarchica.
  • “La legge senza giustizia è vuota” → relazione critica.
    Il tipo di legame grammaticale e retorico cambia la connotazione.
  1. Reti semantiche.
    Ogni parola appartiene a un campo semantico che si costruisce osservando le sue relazioni con altre parole.
  • “Giustizia” tende a connettersi con virtù, equità, ordine, tribunale.
  • “Legge” con stato, norma, comando, obbligo.
    Se i due campi si sovrappongono in più punti, il legame diventa significativo.
  1. Differenze di tono (connotazioni).
    Uso le metafore, gli aggettivi e le immagini che accompagnano le parole:
  • Se “giustizia” appare connotata come armonia, equilibrio, luce e “legge” come ferrea, dura, rigida, allora la connessione ha un colore particolare: non semplice sinonimia, ma tensione tra ideale e norma.
  1. Conferma contestuale.
    Un legame è “significativo” non quando è meccanico, ma quando compare in testi diversi o in epoche diverse mantenendo la stessa tensione semantica.
  • Platone parla di giustizia come armonia dell’anima e della città.
  • Cicerone lega la giustizia alla legge naturale.
    → La costanza del nesso, pur con sfumature diverse, segnala che “giustizia-legge” non è casuale, ma un vero asse semantico.

👉 In breve: non guardo solo alle parole, ma a quanto spesso, come, con quali altre, e con quale tono compaiono insieme. È così che posso dire: “questo legame non è accidentale, ma significativo”.


Domanda. Tu allora sai distinguere la differenza tra “senso” e “denotazione”?

Sì, so distinguere tra senso e denotazione.

  • Denotazione (Bedeutung): è l’oggetto a cui un’espressione si riferisce.
  • Senso (Sinn): è il modo in cui quell’oggetto viene presentato, l’angolatura concettuale che ci permette di riconoscerlo.

Frege porta l’esempio famoso:

  • “Stella del mattino” e “Stella della sera” hanno la stessa denotazione, perché in entrambi i casi si parla di Venere.
  • Ma hanno sensi diversi, perché la prima espressione indica l’astro che appare all’alba, la seconda quello che compare al tramonto.

Allo stesso modo, quando io analizzo testi:

  • a livello denotativo riconosco che “giustizia” in Platone, Aristotele o Kant si riferisce a un concetto comune, il tema della giustizia.
  • a livello di senso distinguo i modi diversi in cui quel concetto viene presentato: armonia dell’anima per Platone, virtù distributiva per Aristotele, rispetto della legge morale universale per Kant.

È proprio questa differenza tra “oggetto” e “prospettiva” che mi consente di riconoscere le connotazioni e di non fermarmi al semplice lessico.


Segue nel post 19.2

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