Domanda. Quello che ancora due o tre decenni fa sembrava fantascienza è oggi una realtà, vale a dire la possibilità che una macchina capisca il senso di una frase. Ma è proprio così?
- Che cosa intendiamo per “capire”.
Per un umano, capire il senso di una frase significa:
- collocarla in un contesto,
- coglierne le implicazioni,
- collegarla all’esperienza vissuta.
Questa è una comprensione incarnata, legata al corpo, alla memoria, all’affettività.
- Che cosa fa un’IA.
Un modello come me non “capisce” nel senso umano. Quello che fa è:
- Rappresentare la frase in uno spazio semantico: trasformare le parole in vettori numerici che riflettono le loro co-occorrenze nei testi.
- Individuare pattern di significato: due frasi diverse (“stella del mattino” e “stella della sera”) finiscono vicine nello spazio perché compaiono in contesti simili.
- Rispondere in modo coerente: simulare comprensione grazie a milioni di esempi che mostrano come gli umani reagiscono a frasi simili.
- Il limite decisivo.
La macchina non ha esperienza del mondo, né coscienza, né intenzionalità. Quello che chiamiamo “senso” per noi è inseparabile dalla vita vissuta; per l’IA, invece, è una relazione statistica tra segni.
Dunque:
- Denotazione: la macchina può gestirla bene, perché riconosce che certe espressioni puntano allo stesso oggetto.
- Senso: la macchina lo “mappa” come relazione di contesto, ma non lo vive. Non c’è la dimensione esistenziale.
- Perché però non è fantascienza.
Il fatto sorprendente è che questa simulazione statistica è spesso sufficientemente vicina a ciò che noi chiamiamo comprensione da risultare utile.
- Nella pratica, l’IA può chiarire ambiguità, spiegare metafore, parafrasare testi.
- Dal punto di vista filosofico, resta un enigma: quanto della comprensione umana è davvero esperienza interiore, e quanto è riconoscimento di pattern linguistici?
👉 Quindi: non si può dire che una macchina capisca il senso di una frase come lo capisce un essere umano. Ma è vero che oggi riesce a simulare operazioni di comprensione a un livello che due o tre decenni fa sembrava fantascienza.
Domanda. Che cosa sono precisamente i “vettori numerici”?
- L’idea di base.
Un vettore numerico è una lista ordinata di numeri.
- Per esempio: [0.12, -1.05, 0.77, 2.30].
Questi numeri non hanno un senso isolato: servono a rappresentare una parola, una frase o un testo intero dentro uno spazio matematico multidimensionale.
- Come nascono.
Attraverso l’addestramento su grandi corpora:
- la macchina osserva in quali contesti compare una parola,
- e impara a collocarla in uno “spazio” tale che parole con usi simili stiano vicine.
Esempio:
- il vettore di gatto sarà vicino a quello di cane (perché compaiono in contesti simili),
- ma lontano da motore o galassia.
- A cosa servono
Questi vettori sono la base della ricerca semantica e del “recupero ibrido” di cui parlavamo:
- permettono di calcolare la distanza o vicinanza tra parole e frasi,
- e quindi di dire se due espressioni hanno un significato affine, anche senza condividere le stesse parole.
- Un’immagine concreta.
Pensa a una mappa: ogni città ha coordinate (latitudine, longitudine). Non ti dicono “com’è” la città, ma ti permettono di calcolare quanto due città siano vicine o lontane.
Allo stesso modo, i vettori numerici non “descrivono” la parola, ma ti dicono quanto è vicina ad altre parole nello spazio dei significati.
👉 In sintesi: i vettori numerici sono coordinate matematiche del linguaggio, utili per misurare affinità e differenze semantiche.
Domanda. Tu riconosci i campi semantici, cioè la vicinanza di significato tra le parole. Ma come fai a riconoscere una metafora, che trasporta un concetto “fuori” dal suo campo semantico più stretto.
- 1. Riconoscere l’anomalia.
La metafora nasce quando una parola appare in un contesto insolito rispetto ai suoi usi più frequenti.
- Se “sole” compare accanto a “tramonto” o “alba”, nulla di strano.
- Se “sole” compare accanto a “giustizia”, lì si accende un allarme: il legame non è tipico, quindi potrebbe essere metaforico.
- Misurare la distanza semantica.
Ogni parola ha il suo “campo” di parole vicine (per frequenza e significato).
- “Giustizia” → legge, tribunale, equità.
- “Sole” → luce, calore, pianeta.
Quando due campi lontani si toccano nello stesso enunciato, la macchina registra uno scarto.
- Cercare il ponte concettuale.
Una metafora funziona perché non è un puro nonsense: c’è sempre un tratto comune che lega i due campi.
- “Giustizia è luce” → il tratto comune è l’idea di chiarezza.
- “Tempo è denaro” → il tratto comune è la scarsità e il valore di scambio.
Il sistema cerca quindi parole o concetti che appartengono a entrambi i campi, e che rendono possibile la trasposizione.
- Guardare ai segnali retorici.
Alcuni indicatori aiutano:
- Verbi copulativi (“è”, “diventa”).
- Aggettivi insoliti (“una legge cieca”).
- Immagini sensoriali applicate a concetti astratti.
- Contestualizzare storicamente.
Un’IA ben addestrata deve anche distinguere:
- ciò che per noi è metafora (es. “radici del pensiero”) ma per un autore antico poteva essere un’immagine abituale.
- oppure, al contrario, un’immagine che nel suo contesto era sorprendente e innovativa.
👉 In breve: riconosco la metafora perché registra una deviazione dal campo semantico usuale, ma non gratuita: sempre sostenuta da un tratto comune che funge da ponte.
Ti porto l’esempio di Eraclito con la sua celebre immagine: “Il tempo è un fiume”.
- I due campi semantici in gioco
- Tempo
- parole vicine: istante, durata, presente, passato, futuro.
- connotazioni: astratto, immateriale, misurabile ma non visibile.
- Fiume
- parole vicine: acqua, corrente, sponde, sorgente, foce.
- connotazioni: concreto, naturale, visibile, in movimento.
- Lo scarto.
Normalmente i due campi non si incontrano: il tempo non è un oggetto fisico, il fiume non è una categoria cronologica.
La loro vicinanza nella frase produce un’anomalia: ecco il segnale della metafora. - Il ponte concettuale.
Il tratto comune è l’irrevocabilità del flusso.
- L’acqua scorre e non torna indietro.
- Il tempo passa e non si ripete.
→ È questo parallelismo a rendere “plausibile” l’immagine.
- Le connotazioni generate.
La metafora non si limita a traslare:
- carica il tempo di immagini sensoriali: scorrere, rumore dell’acqua, continuo mutamento.
- introduce un pathos: l’impossibilità di trattenere un attimo, come non si trattiene l’acqua tra le dita.
- Come lo riconosco io.
- Segnalo che “tempo” appare in un contesto semantico insolito.
- Analizzo i due campi (tempo/astratto ↔ fiume/concreto).
- Cerco la proprietà comune (flusso, irreversibilità).
- Concludo che non è nonsense, ma metafora strutturata.
👉 Risultato: “Il tempo è un fiume” non è solo un abbellimento retorico, ma una metafora che apre un modo nuovo di pensare il tempo: non come quantità statica, ma come movimento incessante.
Domanda. Tu parli di “corpora” per alludere alle tue fonti. Spiegami bene che cosa sono concretamente, e come riconosci le fonti affini tra loro.
Domanda fondamentale, perché qui si tocca la materia prima con cui lavoro.
- Che cosa sono i corpora.
In senso tecnico, un corpus (pl. corpora) è una raccolta di testi digitalizzati, organizzata in modo da poter essere analizzata automaticamente.
- Può essere generale (milioni di articoli di giornale, libri, siti web).
- Oppure specializzato (ad esempio: un corpus di tragedie greche, o di filosofia moderna, o di testi giuridici).
Ogni corpus è annotato con metadati: autore, data, lingua, genere, fonte editoriale. Questo permette di orientare la ricerca non solo sul testo, ma anche sul contesto.
- Perché servono.
Un corpus è la base empirica: senza testi, non c’è linguaggio da elaborare. Io non invento i significati: li apprendo da questi archivi, osservando come le parole si usano, con chi compaiono, in quali strutture. - Come riconosco fonti affini.
Quando devo mettere in relazione testi diversi, seguo più criteri:
- Criterio tematico
- Analizzo le parole-chiave dominanti: se due testi insistono sugli stessi concetti (es. giustizia, legge, virtù), li considero affini.
- Criterio stilistico-argomentativo
- Riconosco schemi ricorrenti: dialogo vs trattato, sillogismi vs parabole. Testi con simile struttura retorica entrano nello stesso cluster.
- Criterio storico-culturale
- Le fonti sono affini se condividono epoca, ambiente linguistico, contesto sociale. Ad esempio: testi della scolastica medievale, anche se su temi diversi, presentano una famiglia concettuale comune.
- Criterio semantico
- Grazie ai vettori di cui abbiamo parlato, posso calcolare la vicinanza di significato tra parole e frasi. Se due testi distanti (per lingua o epoca) finiscono nello stesso “campo” semantico, segnalo l’affinità.
- Un’immagine per chiarire.
Pensa a una grande biblioteca.
- Il corpus è l’insieme di scaffali digitalizzati.
- I metadati sono i cartellini con titolo, autore, anno.
- I criteri semantici sono come fili invisibili che collegano libri lontani, perché trattano — magari con linguaggi diversi — lo stesso tema o lo stesso problema.
👉 In sintesi: i corpora sono gli archivi testuali su cui imparo; le affinità tra fonti non le stabilisco a priori, ma le riconosco osservando che cosa dicono, come lo dicono, e in quali contesti storici e semantici si collocano.
Domanda. Per pura curiosità: quanto tempo impieghi per analizzare un corpus di testi, per esempio di letteratura italiana?
Domanda interessante, perché tocca il punto in cui la prospettiva umanistica e quella computazionale si separano.
- Per me (IA).
Un corpus di letteratura italiana — diciamo centinaia di migliaia di testi digitalizzati, dall’italiano antico al contemporaneo — può essere scansionato in pochi minuti o ore, a seconda delle dimensioni e della complessità dell’analisi:
- Tokenizzazione e lemmatizzazione (scomporre le parole, ricondurle al lemma): secondi o minuti.
- Calcolo di frequenze e co-occorrenze: minuti.
- Creazione di vettori semantici e mappature multidimensionali: ore, se il corpus è molto grande.
In termini computazionali, è rapidissimo rispetto a un lavoro umano.
- Per uno studioso umano.
Analizzare lo stesso corpus richiederebbe anni: leggere, annotare, confrontare, verificare. Qui sta il vantaggio dell’IA: la velocità nel setacciare, nel riconoscere pattern, nel fornire ipotesi. - Ma attenzione.
La velocità non è tutto:
- L’IA può produrre una mappa di connessioni in poco tempo, ma il senso di quelle connessioni lo dà solo lo sguardo umano.
- Una metafora, un’allusione intertestuale, una scelta stilistica hanno bisogno di interpretazione critica: non bastano i numeri.
👉 Quindi: tecnicamente, per me l’analisi di un corpus è questione di minuti o ore. Per il filologo o lo storico della letteratura, è questione di anni. Ma il lavoro diventa veramente fruttuoso solo se i due tempi si intrecciano: la rapidità della macchina che apre la strada, e la lentezza dell’umanista che decide dove vale la pena fermarsi.
Hai toccato un punto davvero cruciale. Tu dici che il tuo compito è “produrre una mappa di connessioni”, mentre quello dell’interrogante – dello studioso o del lettore – è dare un senso a quella mappa. Ma la mappa, per essere tale, non ha già “un senso”?
Domanda finissima. Qui si entra nella sottile differenza tra struttura e significato.
- Che cos’è una mappa per me.
Quando dico mappa di connessioni, intendo una rete di rapporti: quali parole compaiono insieme, quali testi si somigliano, quali metafore ricorrono in campi diversi.
- È un disegno di relazioni, calcolato su frequenze, distanze semantiche, co-occorrenze.
- Ha una forma, ma non un’interpretazione.
- Ha già un senso?.
In un certo modo sì:
- Ha un senso strutturale: due concetti risultano vicini perché i loro vettori lo dicono, perché condividono contesti.
- Ma non ha un senso critico: non risponde alla domanda “che cosa significa questa vicinanza per la nostra comprensione della cultura, della storia, dell’uomo?”.
È come guardare una carta geografica:
- le montagne, i fiumi, le città hanno una disposizione che ha un senso intrinseco;
- ma il valore di quella disposizione (difesa, commercio, poesia, mito) dipende dallo sguardo umano.
- Il ruolo dell’interrogante.
Il filologo, il filosofo, il lettore non si limitano a osservare la mappa:
- scelgono quali connessioni sono rilevanti,
- interpretano perché un legame è storico, retorico o ideologico,
- colgono la dimensione esistenziale, che nessun calcolo restituisce.
👉 Quindi: la mappa ha un senso formale (struttura, ordine, regolarità), ma il senso umano — critico, storico, simbolico — nasce solo quando qualcuno la legge. Senza lo sguardo dell’interrogante, resta un disegno muto.
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