Norberto Bobbio: Libertà di parola e educazione al dubbio nell’era digitale
«Non c’è democrazia senza libertà di parola. L’ho ripetuto più volte: la libertà di espressione è condizione necessaria, seppure non sufficiente, della vita democratica (Il futuro della democrazia, 1984). Senza la possibilità di discutere, criticare, dissentire, non vi è controllo sui governanti, né progresso delle idee.
Ma ogni libertà porta con sé il rischio del suo abuso. Nelle piazze virtuali che oggi chiamiamo “social network”, l’abuso si è fatto sistema. Il paradosso è che la stessa tecnologia che amplia le possibilità di comunicazione universale ha reso più fragili i confini tra libertà e licenza, tra diritto e arbitrio.
In passato ammonivo: i diritti dell’uomo non sono eterni, ma storici; mutano con il mutare delle condizioni sociali (L’età dei diritti, 1990). Oggi direi che il diritto alla parola deve essere ripensato alla luce di un medium che moltiplica all’infinito la capacità di raggiungere gli altri, senza mediazioni, senza responsabilità diretta.
Non è difficile osservare che la libertà così intesa rischia di degenerare in sopraffazione: quando una voce si fa urlo e sovrasta tutte le altre, non si ha più libertà, ma dominio del più forte. Ho scritto: non vi è libertà dove vi è sopraffazione (Il problema della guerra e le vie della pace, 1979). Questo principio vale oggi per la parola digitale.
Per evitare questa degenerazione, la democrazia ha bisogno di un nutrimento che spesso dimentichiamo: l’educazione al dubbio. Educare al dubbio significa insegnare che non esistono idee intoccabili, né affermazioni immuni da confutazione. Significa coltivare quella virtù che i Greci chiamavano euboulia, il saper deliberare con prudenza, e che noi moderni potremmo chiamare senso critico.
Scrissi una volta che la verità non è mai proprietà di uno solo, ma nasce dal dialogo tra molti (Elogio della mitezza, 1994). Ebbene, nel mondo dei social media si è persa proprio questa consapevolezza: l’idea che un’affermazione valga tanto quanto è forte il vaglio cui viene sottoposta, e non quanto è rumorosa la voce che la pronuncia.
Il dubbio non dissolve la verità, la rende più solida. Educare al dubbio vuol dire ricordare che l’opinione avversaria non è un nemico da annientare, ma un banco di prova della nostra capacità di argomentare. Un popolo che dubita è un popolo che non si lascia trascinare dall’onda della propaganda.
Non a caso osservavo che la democrazia è un regime fondato sulla discussione (Il futuro della democrazia). Ma la discussione non è uno scambio di certezze impenetrabili: è un lavoro comune di verifica e revisione, che si alimenta del dubbio reciproco.
Per questo dico che nell’età digitale, più che mai, la scuola, l’università, i mezzi di comunicazione dovrebbero insegnare non il dogma, ma il metodo; non la verità definitiva, ma la domanda ben posta. Un cittadino che sa dubitare è un cittadino che sa resistere alle manipolazioni, alle fake news, alle verità prefabbricate.
La libertà di parola rimane un diritto fondamentale. Ma, come tutti i diritti, non è assoluto. È un diritto che vive nella tensione tra l’autonomia dell’individuo e la responsabilità verso la comunità. Senza questa consapevolezza, la libertà digitale rischia di diventare l’ennesima illusione della nostra età dei diritti: proclamata, esaltata, ma svuotata del suo senso più alto.
Perché, come ho cercato di mostrare lungo tutta la mia vita, la vera libertà non si misura dalle parole gridate, ma dal riconoscimento reciproco che fonda la convivenza civile.»
Lascia un commento