28.3 – L’arte (e la tecnica) della memoria. Terza parte.

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La biblioteca del mondo

Con il libro la memoria umana trova la sua forma più compiuta e insieme più ambiziosa: non più segno isolato, non più monumento, ma raccolta di testi capace di abbracciare l’intero sapere. La biblioteca è il luogo simbolico di questa ambizione: ordinare il molteplice, custodire il passato, renderlo accessibile a una comunità.

Le biblioteche nascono già nell’antichità. In Mesopotamia, a Ninive, Assurbanipal raccolse nel VII secolo a.C. migliaia di tavolette d’argilla catalogate: leggi, testi religiosi, epica. È la prima immagine di un “archivio del mondo”, sebbene fragile e circoscritto. Ma è ad Alessandria che la biblioteca assume per la prima volta la forma di un sogno universale: i Tolomei vollero radunare tutti i testi conosciuti, fare della città il centro della memoria umana. La leggenda della sua distruzione ci accompagna come monito: la memoria più vasta è anche la più vulnerabile.

Dopo Roma, con i suoi archivi pubblici e le biblioteche patrizie, l’Europa medievale affida la memoria ai monasteri. Gli scriptoria, con i copisti chini sui codici, sono luoghi dove il tempo rallenta e il sapere sopravvive. Qui la biblioteca non è aperta a tutti: è sacrario, spazio sacro, riservato a pochi. Ma senza quei silenzi e quelle mani pazienti, gran parte della cultura antica sarebbe svanita.

Con il Rinascimento la biblioteca diventa di nuovo monumento civile. I principi e i signori amano circondarsi di raccolte librarie: a Urbino, a Firenze, a Venezia si costruiscono ambienti in cui il libro è insieme strumento e ornamento. La Biblioteca Malatestiana di Cesena, aperta nel Quattrocento, è il primo esempio di biblioteca pubblica d’Europa: i volumi incatenati ai banchi testimoniano insieme la ricchezza della memoria e la paura di perderla.

La grande svolta è la stampa. Con Gutenberg il libro smette di essere rarità, diventa bene moltiplicabile. Le biblioteche si ampliano, si organizzano, nascono i primi cataloghi sistematici. Le raccolte private dei dotti crescono, ma soprattutto nascono le biblioteche universitarie e cittadine: spazi in cui il sapere è messo a disposizione, almeno in principio, di chi studia e ricerca.

Nel Settecento l’ideale illuminista trasforma la biblioteca in strumento di educazione popolare. In Francia e in Germania, in Inghilterra e poi in America, la biblioteca pubblica diventa istituzione sociale. Non solo deposito di testi, ma luogo di formazione civica. È la fase in cui si afferma l’idea che il sapere appartenga alla comunità, che la memoria non debba essere privilegio di pochi.

Nell’Ottocento e fino ai primi decenni del Novecento, la biblioteca cresce fino a diventare un vero organismo urbano. Grandi edifici, sale di lettura, scaffali sempre più estesi: la memoria del mondo assume una forma architettonica imponente. Pensiamo al British Museum, alla Bibliothèque Nationale di Parigi, alle prime biblioteche americane sostenute da mecenati come Andrew Carnegie: ogni città vuole la sua “cattedrale laica” della memoria.

È questa la stagione in cui la biblioteca si afferma come simbolo di progresso. Chi entra in una sala di lettura ottocentesca, con i suoi cataloghi, le sue scaffalature interminabili, percepisce la promessa che il sapere sia ordinabile e disponibile. Una promessa fragile, certo, ma potente: per la prima volta l’umanità sembra vicina a costruire una vera “biblioteca del mondo”.

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