28.5 – L’arte (e la tecnica) della memoria. Quinta parte.

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L’archivio digitale: memoria tra materia e bit

Nel passaggio al digitale, la memoria subisce una trasformazione che è insieme di continuità e discontinuità. Non si tratta di “tornare immateriali”: dietro ogni file, ogni immagine, ogni testo digitalizzato, c’è un corpo — silicio, circuiti, energia — e una forma di fragilità che ha bisogno di nuove cure e attenzioni.

Codifica e compressione: dal documento al bit

Quando un testo, una foto, un film vengono digitalizzati, non sono trasportati “interi” nel vuoto: vengono codificati (encoded) in sequenze di 0 e 1, i cosiddetti bit (binary digit). Per farlo, spesso si applica una compressione (compression), cioè una riduzione dello spazio necessario eliminando ridondanze o dettagli “meno utili”. In quell’atto tecnico si compie già una selezione: non tutto può essere mantenuto con la stessa fedeltà. Si scelgono risoluzione, formato, qualità: tutte decisioni che incidono sul valore della memoria che rimarrà.

Storage, server, energia: il corpo invisibile

L’archivio digitale ha una “pelle” invisibile: dischi rigidi (hard disk), memoria flash (flash memory), unità a stato solido (solid-state drives, SSD), server, data center. Anche se non li vediamo, questi dispositivi sono corpi materiali che consumano energia, producono calore, si degradano. Un file non “vive” nel vuoto: ha bisogno di supporti, alimentazione, controllo ambientale (refrigerazione, umidità, protezione dalle interferenze).
Questo porta ad un paradosso interessante: la memoria digitale è vista come leggera, sfuggente, ma non è “eterea”. Ha bisogni concreti: elettricità, spazio fisico, manutenzione, aggiornamenti. Se quel corpo materiale viene trascurato, la memoria perde la sua integrità.

Obsolescenza e “era oscura” digitale

Un rischio peculiare del digitale è quello dell’obsolescenza (obsolescence). Anche se un archivio contiene un file perfettamente integro, se non esiste più un hardware o un software che possa leggerlo, quel file diventa inaccessibile. È il fenomeno del Digital Dark Age — “età oscura digitale” — in cui le tracce esistono, ma non sono più interpretabili.
Nell’analogia: la pietra scolpita può scolorire o rompersi, ma il suo segno resta leggibile fintanto che resta pietra. Il file digitale può restare “intatto”, ma diventare opaco, privo di senso, se l’ambiente tecnologico che lo legge sparisce.

Autenticità, integrità e fiducia

Nel mondo digitale non basta che un dato esista: occorre che sia autentico (authentic), integro (integrity), non alterato e con la certezza che quel che viene mostrato sia davvero quel che fu originariamente creato.
Per affrontare queste questioni, si sviluppano teorie e pratiche collegate al progetto InterPARES (International Research on Permanent Authentic Records in Electronic Systems).
InterPARES ha cercato di stabilire come garantire che i record digitali restino affidabili nel tempo, in particolare attraverso concetti come la catena della conservazione (chain of preservation), l’identificazione di proprietà significative (significant properties), e la gestione del contesto tecnologico che accompagna ogni documento.
Questa premessa filosofica diventa decisiva: la memoria digitale non è solo “memoria”, è anche fiducia. Archivisti, istituzioni, tecnici devono garantire che chi accederà domani a un file possa fidarsi che esso non sia stato manipolato o corrotto.

Replica, migrazione, ridondanza

Per mitigare i rischi di perdita o degrado, l’archivio digitale si basa su strategie operative:

  • Replica (replication): mantenere copie multiple dello stesso file in luoghi diversi;
  • Migrazione (migration): spostare i dati su formati e tecnologie aggiornate nel tempo;
  • Ridondanza (redundancy): avere dispositivi di backup e sistemi duplicati per garantire continuità;
  • Verifica periodica (integrity checks, checksums): controlli regolari per verificare che le copie non si siano alterate.

Un esempio concreto è la MetaArchive Cooperative, una rete distribuita di preservazione digitale che replica contenuti in server geograficamente separati, utilizzando software come LOCKSS (“Lots of Copies Keep Stuff Safe”) per assicurare che le copie siano confrontate e confrontabili.
Ogni nodo (cache) confronta periodicamente le sue copie archiviate (AIP, archival information package) con quelle degli altri nodi; se emergono discrepanze, la copia corrotta viene sostituita da una versione sana proveniente dagli altri nodi.
Questa cooperazione consente di resistere alle perdite locali (guasti hardware, incendi, blackout) e di preservare la coerenza dell’archivio distribuito.

Memoria “born-digital” e stratificazione tecnica

Non tutte le tracce digitali vengono da oggetti analogici convertiti: molti nascono digitali (“born-digital”), come email, siti web, database, log. L’archiviazione di questi materiali richiede che non solo il contenuto, ma anche il contesto tecnico, i metadati (metadata), i collegamenti (link), gli script attivi vengano conservati.
In altre parole, la memoria non è un singolo livello pianificabile: è stratificata — contenuto, struttura, relazioni, dipendenze. Non basta leggere “il testo”: bisogna sapere come quel testo era costruito, da quale ambiente digitale, con quali connessioni.

Tra memoria e potere: il controllo digitale

L’archivio digitale centralizzato porta con sé il rischio che chi controlla l’infrastruttura decida cosa è accessibile, cosa resta nascosto, cosa si cancella. Mettere in memoria — archiviare — è già un atto di potere.
Nel digitale, cancellare è tecnologicamente più semplice che scolpire nella pietra, occultare è più discreto, manipolare è più nascosto. L’archivio diventa uno spazio disciplinare. Chi possiede l’hardware, gli algoritmi di ricerca, i protocolli di accesso, esercita un’autorità sulla memoria.

Limite e promessa

L’archivio digitale ci mostra che non siamo fuori dal corpo della memoria: l’invisibilità del bit non annulla la sua corporeità, la sua fragilità, il suo vincolo temporale. La promessa della memoria illimitata si scontra con il limite dell’obsolescenza, della degradata leggibilità, dell’accumulazione incontrollata.
Eppure offre una porta che i supporti tradizionali non potevano spalancare: accessi simultanei, diffusione globale, incroci di memorie, comparazioni che prima erano impossibili. La sfida è: mantenere una memoria potente e accessibile senza che diventi onnipresente e senza spiragli per l’oblio, per il silenzio, per il vuoto.
In questo modo, l’archivio digitale agisce come umile testimone del cammino della memoria: pensa di essere “altrove”, ma continua a portare con sé il peso del corpo materiale, delle decisioni tecniche, dei rischi che ogni traccia conserva.

 

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