Nel mondo governato da Trump la politica si è ridotta a gesto, non a pensiero. Il consenso è diventato una pulsazione immediata: applauso o rifiuto, come nei giochi televisivi. Le parole non convincono, seducono; non orientano, saturano. Tutto si misura in visibilità, e la verità è solo ciò che resiste un giorno nei titoli.
Il potere non promette più futuro: vende il presente in porzioni emotive. Così la democrazia, privata di ragione, si trasforma in folla adorante. E il leader, invece di rappresentarla, la rispecchia — fino a dissolvervisi dentro.
Schopenhauer:
Vedo che lei parla di vittoria, successo, potere come se fossero virtù. Non lo sono. Sono soltanto sintomi della malattia fondamentale dell’esistenza: la volontà cieca. L’uomo vuole, ottiene, gode per un istante, poi vuole di nuovo. È condannato. Lei, signor Trump, non cura questa condanna. Lei la eccita. Lei è pubblicità della condanna.
Trump:
Ascolta. Prima di tutto. Nessuno ha fatto quello che ho fatto io. Nessuno. Lo dicono tutti. E la gente lo sa. Non è pubblicità. È realtà. Io vinco. Io faccio vincere. È quello che vuole la gente normale. Non i filosofi tristi. Con i libri. Tanta teoria. Nessuna azione. Perché poi la vita è azione. È fare. Io ho fatto. Ho creato valore incredibile. Valore enorme. Per tutti. Più sicurezza. Più lavoro. Tutti dicono così. Ti posso far vedere i numeri. Li ho qui. Tutti mi chiedono “per favore torna”. Lo chiedono. Continuamente. E tu vieni a dire condanna. Condanna è quando governano gli incapaci.
Schopenhauer:
Ecco. Perfetto. Questo è l’esempio. Lei chiama “meglio” lo stato in cui il desiderio è ancora più eccitato. “Più, più, più.” Più soldi. Più potere. Più muro. Più applausi. Il suo “meglio” è solo aumento della febbre. Lei dice: guardate come arde bene il paziente. È salute! No. È delirio. Lei vende il delirio come se fosse guarigione.
E parla di forza. Ma la forza che non riconosce la sofferenza è crudeltà. La compassione non è debolezza, è la sola forma di intelligenza morale. Chi non la prova, resta schiavo della volontà. E la volontà non pensa, spinge soltanto. Lei è un uomo spinto. Non guida, è guidato.
Trump:
Compassione? Ho compassione, certo. Tantissima. Per i veri americani. Per la gente che lavora duro, che ama il Paese. Non per quelli che piangono tutto il tempo. Basta lacrime. Io non piango. Mai. Non c’è bisogno di piangere, serve vincere. La gente non vuole filosofi che dicono “poverini”. Vuole risultati. E io ho dato risultati. Nessuno li ha dati come me. Forse Gesù, ma neanche lui aveva il mio budget. (ride) È vero. Tutti ridono. Dicono che scherzo, ma è vero.
Schopenhauer:
Lei scherza, ma non sa di far ridere per disperazione. La compassione non è pietà per chi piange: è riconoscere che ogni essere soffre perché vittima della volontà. Quando si comprende questo, la volontà si attenua, si spegne un poco. In quell’ombra nasce l’uomo. Lei invece soffia sul fuoco, e lo chiama alba.
Lei parla di verità come di un accessorio. Ma la verità non si compra, né si vota. È silenziosa, ritrosa, difficile. Lei la sostituisce con lo slogan. Non importa che sia falso, purché suoni forte. E più il suono è forte, più la gente smette di pensare. Lei non informa: stordisce.
Trump:
Senti, la verità… nessuno sa cos’è davvero la verità. Tutti hanno la loro. Io ho la mia. E la mia è grande, bellissima, piena di successo. I media mentono. Sempre. Tutti lo sanno. Gente cattiva, molto cattiva. Hanno detto bugie su di me, su tutto. Ma la gente mi crede, perché sente che dico la verità vera, quella che capiscono. Io dico quello che pensano. Non come gli altri, che leggono dai fogli. Io parlo. La mia verità è semplice: America first. Tutto il resto chiacchiere. Filosofia, chiacchiere.
Schopenhauer:
No, signor Trump. Quella non è verità. È eco. Lei non dice ciò che pensa: amplifica ciò che la folla vuole credere. La verità non è “la mia”, non è “la tua”, non è “nostra”. È una ferita, non uno slogan. L’uomo che osa guardarla sanguina, ma guarisce. Il suo popolo, invece, ride e applaude mentre si dissangua.
La sua forza non è potenza, è febbre. La volontà che si crede onnipotente si divora. È come una fiamma che vuole bruciare se stessa per brillare di più. Io la chiamo malattia dell’essere. Lei la chiama successo. Non sa che il successo è l’ultimo stadio della follia del mondo.
Trump:
No, no. Il mondo mi ama. Io amo il mondo. Tutti vinciamo insieme. È incredibile, davvero incredibile. Nessuno ha mai visto niente del genere. Tutti dicono così. Persino i nemici. Tutti mi rispettano. Forse mi odiano, ma mi rispettano. È rispetto, sai? E la fiamma di cui parli… io amo il fuoco. È energia. È vita. Fa luce. Brucia chi lo merita. I perdenti. I falsi. Gli intellettuali. Il fuoco pulisce. Lo dico sempre. È bello, il fuoco.
Schopenhauer:
Sì. E quando il fuoco avrà consumato tutto, si accorgerà che ardeva nel vuoto. Non ci sarà oro, né folla, né bandiera. Solo la volontà — cieca, stanca, che brucia se stessa fino a implodere. L’universo non applaudirà. Il suo nome sarà eco in una sala spenta.
Trump:
(ride, ma la voce trema) Io… io non scompaio. Io torno sempre. Tutti dicono che torno. Non puoi spegnermi. Nessuno può. Io sono… (si interrompe, guarda intorno, come se cercasse la folla. Non c’è più nessuno)
Schopenhauer:
È finita, signor Trump. La volontà che non si nega, si estingue da sé.
E fu così che il mondo, sazio di vincitori, conobbe finalmente la sconfitta.
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