Farinata e l’invenzione politica degli italiani
La scena è una delle più potenti dell’Inferno: tra le tombe infuocate degli eretici, si alza un’ombra “com’avessi l’inferno a gran dispitto”. È Farinata degli Uberti, il nemico, il fiero ghibellino che difese Firenze persino contro il suo stesso partito. Davanti a lui, Dante — l’esule, il guelfo cacciato dalla sua città. Non un incontro di fantasmi, ma di idee. O meglio: di fuochi.
Nel silenzio della tomba, la politica diventa passione assoluta, fede civile, ardore che non conosce mediazioni. In quel gesto d’orgoglio — “E’ fui de li tuoi, e non fu’ degno di ciò” — c’è tutta la radice della nostra storia: l’Italia come paese dove le idee scaldano, bruciano, dividono. Dove la verità non è mai neutra, ma sempre incarnata in un volto, in un gesto, in un “io non mi pento”.
Eppure, guardandoci oggi, sembra che quel fuoco si sia spento. Nessuno rischia più nulla per un’idea. Nessuno si consuma per una causa. Le passioni si sono ridotte a opinioni, le opinioni a slogan, gli slogan a rumore. La politica non è più un campo di battaglia di visioni, ma un mercato di posizioni.
Farinata si ergerebbe ancora, se potesse, ma non troverebbe avversari. Solo spettatori distratti, commentatori seriali, indignazioni a tempo.
Una volta le idee dividevano perché vivevano. Oggi non dividono più.
Perché nessuna idea divide, quando nessuna idea vive.
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