Che cos’è il contemporaneo?
Giorgio Agamben, 2008
Presenza
Questo testo nasce da una lezione, e conserva qualcosa della parola detta: non l’argomentazione sistematica, ma il ritmo di un pensiero che si avvicina al suo oggetto con cautela. Agamben non intende definire il contemporaneo come categoria storica, né descrivere un’epoca. La sua domanda non riguarda il tempo in cui viviamo, ma il nostro rapporto con esso.
Il saggio è breve, ma non conclusivo. Ogni passaggio apre uno spazio di riflessione invece di chiuderlo. Il tono è misurato, quasi dimesso, e proprio per questo esigente: chiede al lettore di non affrettare il senso, di restare dentro una tensione che non si risolve in una formula.
Campo di forza
Il punto centrale del testo è un rovesciamento di prospettiva. Agamben afferma che essere contemporanei non significa coincidere pienamente con il proprio tempo, né essere perfettamente aggiornati su di esso. Al contrario, il contemporaneo è colui che avverte uno scarto, una non coincidenza, una distanza interna.
Il presente non è pensato come ciò che splende, ma come ciò che contiene una zona oscura. Agamben insiste su questa immagine: chi è veramente del proprio tempo è chi riesce a percepirne non tanto le luci, quanto il buio. Non come mancanza, ma come segnale. Non ciò che non funziona, ma ciò che non riesce ancora a mostrarsi.
La tensione che attraversa il testo è quindi quella tra visibilità e invisibilità, tra ciò che il presente mette continuamente in scena e ciò che, pur appartenendogli, resta in ombra.
Perché è qui
Questo libro è esposto in questa galleria perché offre una chiave essenziale per abitare il presente senza esserne completamente assorbiti. Agamben non propone una fuga dal proprio tempo, né una critica esterna. Propone una forma più sottile di fedeltà: restare, ma senza coincidere.
Accostato a La questione della tecnica, il testo di Agamben agisce come controcampo. Se Heidegger interroga il modo in cui il mondo si dispone come fondo disponibile, Agamben interroga la possibilità, per l’uomo, di mantenere uno scarto percettivo, una distanza che non è rifiuto ma attenzione.
In un’epoca che si percepisce come costantemente presente a se stessa — informata, aggiornata, connessa — Che cos’è il contemporaneo? ricorda che il presente non è mai del tutto trasparente. Che ciò che conta, spesso, è ciò che non si vede subito, ciò che non si lascia integrare senza residui.
Una soglia
«Il contemporaneo è colui che sa vedere il buio del proprio tempo come qualcosa che lo riguarda.»
Questa frase non invita al pessimismo né alla denuncia.
Invita a una forma di vigilanza: riconoscere che ogni tempo porta con sé una zona d’ombra, e che abitare il presente significa non distogliere lo sguardo da essa.
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